
Come ogni settimana sento già qualcuno che borbotta: “che razza di domande! E che razza di affermazioni! Possibile che l’argomento sia sempre felicità-malattia-guarigione? Non le cure, non la dieta, non la prevenzione, non l’inquinamento?” Eh certo, niente di tutto ciò -dico io- perché qui l’idea è di guardare le cose da un punto molto, molto a monte, talmente a monte che permetta di cogliere la genesi dei fatti fisici e quella dei pensieri e che sia un punto dove ancora siamo tutti “in gioco”, tutti sani. Un punto da dove tutti possiamo anche rimanere sani o tornare ad esserlo.
Come sempre la vita vissuta offre spunti fantastici su questo argomento per cui ti propongo un paio di esempi di felicità.
Ho avuto il cancro due volte. La prima volta, come dico sempre, sono “passata tra le fiamme senza bruciarmi” al punto che parlando al telefono con la mia amica Elisabetta, le capitava spesso di dire: “ma poi alla fine tu non hai avuto il cancro, non sei mai stata ammalata”, e in un certo senso è così. Io non mi sono mai considerata ammalata, non me lo potevo permettere e non volevo perché avevo altro da fare. Dovevo riuscire nella “mission impossible” di portare qui mio figlio dalla Bielorussia da sola, in un paese (l’Italia) dove i single che vogliono adottare, sono visti come il diavolo. Avevo visto crollare il matrimonio lungo questa strada e non era ammissibile che quel crollo si portasse via il mio sogno. Io avevo dato la mia parola a quel bambino che era diventato figlio mio dal primo giorno in cui ci siamo visti.
La potenza di questo scopo ha fatto letteralmente miracoli.
Non che io altrimenti dovessi per forza morire, ma che io non abbia avuto un tentennamento, un moto di paura, un dubbio alla buona riuscita dell’intervento o sui risultati degli esiti di ogni esame e di ogni controllo è una realtà.
A dire il vero io non mi sono mai posta domande. Andavo avanti come un Panzer, avevo altro da fare e questo non vuol dire che non abbia provato dolore sia per l’intervento, che per la terapia, solo che avevo uno scopo e non intendevo retrocedere.
Le uniche lacrime che ho versato, a parte il momento della mammografia, quando si è capito che c’era qualcosa che non andava, è stato quando al telefono con un amico, anche lui in procinto di adottare due ragazzi, ho visualizzato l’ipotesi che la malattia mi impedisse definitivamente di portare a termine la mia missione, dopo tutti quell’attesa, la fatica e gli sforzi fatti per 8 anni.
Alla fine invece mio figlio l’ho adottato ed è stata vera felicità e il cancro al seno è volato via.
Per il momento è importante che sia chiaro il ruolo fondamentale della parte sommersa della nostra psiche. Essa possiede una forza immensa: potete comprenderlo e cominciare a imparare come utilizzarla o cercare continuamente di opporvi a essa con la volontà cosciente. Senza dubbio è faticoso, ma può funzionare, almeno a volte, anche per un po’.
Erica Francesca Poli
E se fosse semplicemente vero che chi è felice non si ammala e che qualsiasi felicità sia uguale all’altra allora perché, un anno dopo la felice conclusione della adozione, mi è stato diagnosticato un altro tipo di tumore, del tutto indipendente dal precedente?
Addirittura uno dei farmaci che stavo assumendo (il tanto noto tamoxifene) era riconosciuto come farmaco con effetto calmierante sul desmoide e invece lui –il desmoide- si è bellamente presentato senza alcuno sconto.
A dir la verità all’epoca, nel 2013, non me lo sono neanche chiesto, ho solo pensato che non poteva succedere e anche lì non era paura, ma rabbia per qualcosa che veniva a contrastare i miei piani. Non mi sono però nemmeno chiesta se i piani che stavo puntualmente mettendo in atto, mi rendevano davvero felice, né che tipo di felicità fosse.
Perché io arrivassi ad avere il coraggio di farmi questa domanda c’è voluto un altro anno, più di 40 cicli di chemio, la rottura di una relazione, l’inizio di un’altra e la ripresa della malattia e a quel punto la domanda non era più, come il titolo del film di Aldo, Giovanni e Giacomo, “ Chiedimi se sono felice”, ma piuttosto “Chiedimi se sono davvero felice e di Che tipo di felicità stai parlando”.
Come sempre gli episodi dalla mia esperienza servono solo per avere il materiale su cui fare delle considerazioni che ti siano utili e quindi cerchiamo di capire: in questi esempi, di che tipo di felicità si trattava?
La mia prima felicità nasceva dal vincere una sfida, “vuoi vedere che io questo bambino lo adotto comunque?”ed era già una bella sfida prima della malattia per via della fine del matrimonio, con il cancro è diventata LA SFIDA.
Era una motivazione con la M maiuscola ed è stata il motore potentissimo che mi permesso di superare brillantemente la prova del cancro al seno. Chi mi conosce lo sa che io, in quel periodo della mia vita, non ho mai accettato un no come risposta e in più si trattava anche di una felicità legata agli affetti, altro motore potentissimo, perché una cosa è certa, io quel figlio l’ho amato da subito e per davvero!
Il raggiungimento di un obiettivo prevede che la volontà imponga le sue scelte, come fa notare la dottoressa Erica Poli nel suo libro “Anatomia della guarigione”; ciò che si vuole razionalmente non è affatto detto però che sia in accordo con la motivazione del nostro subconscio.
Quindi cosa? Non volevo quel figlio? No, non era questo il punto. Il punto era che vita volevo davvero e se stavo vivendo la realtà per cui ero nata.
Io ho sempre “smosso le montagne”, ho fatto sforzi enormi e quasi sempre ottenuto ciò che mi ero prefissata, ma a prezzo di una inenarrabile fatica e di peripezie davvero notevoli e lì forse qualche domanda avrei dovuto già farmela …
Domande del tipo: “ma possibile che per me sia sempre tutto così difficile?”.
Infatti non è mai stato il risultato il vero problema, ma la “fatica porca” per arrivarci quella sì! A saper osservare bene -ora lo so- si poteva facilmente capire che ero sempre in opposizione, ma a chi? A cosa? A tutto l’universo? In realtà solo a me stessa, anche questo però sono in grado di dirlo solo ora.
Si potrebbe anche obiettare che poiché io alla fine ce l’ho sempre fatta, cosa importa di chi fosse la volontà, se della “me” conscia o di quella inconscia e se fosse “felicità di tipo A, B oppure C”, era quel che volevo, punto.
Invece c’è un fattore che non è mai stato considerato e che io per prima non avevo realizzato ed è la fatica, lo stress fortissimo a cui ero perennemente sottoposta e non si trattava dello stress buono che ti aiuta a performare nel momento decisivo, ma di stress perdurante, profondo, per rimanere “sugli scudi” tutto il tempo. Lo stress negativo è il prezzo della presunta che felicità che mi ero prefissata e da cui non ero disposta a retrocedere.
Questo atteggiamento ha generato dentro di me, ancora una volta, uno “scontro tra Titani” tra la mia volontà cosciente e le motivazioni del mio subconscio, delle quali io continuavo ad essere completamente ignara e ancora una volta, il mio corpo è divenuto il loro campo di battaglia.
Adesso dovrebbe esserti chiaro davvero perché io esordisco sempre dicendo che ho deciso di diventare coach e di usare la mia storia (video) per evitare che altri paghino quello che ho pagato io, perché questa mia ostinazione a non mollare mai mi ha fatto pagare un prezzo altissimo e se hai letto la mia storia lo sai.
Felicità 2.0
Quando la fatica e il suo esito più evidente, la malattia, mi hanno messa all’angolo, ho inziato a cercare aiuto. Prima leggendo, studiando, aprendomi alla possibilità che non tutto fosse come io pensavo e poi finalmente rivolgendomi a qualcuno che mi potesse guidare attraverso il mondo ignoto che avevo iniziato a intravedere.
Con quell’aiuto preziosissimo che ho cercato e trovato sono potuta giungere al confronto tra:
- la pallida imitazione di felicità che inseguivo (fatta di spero di star bene, mi tengo il mio lavoro e poi vedremo, prima o poi la mia relazione decollerà, ecc ecc) , mossa dalla mia volontà consciente,
- la sbalorditiva e difficilmente descrivibile felicità incondizionata (qui puoi ascoltare direttamente dalla mia voce), che ho sperimentato quando mi sono permessa di rischiare e di mollare tutto affrontando:
- la paura della malattia,
- la paura di non raggiungere la guarigione
e ancora più a monte:
- la paura di perdere il controllo,
- la paura di perdere la mia identità.
E non dimentichiamoci che senza ancora capire bene, al mio tumore io avevo dato un nome e quel nome era Felicita.
Inseguire la felicità ti può perfino far ammalare, aprirti alla felicità ti fa guarire. Scusa, ma non capisco!
E quindi arriviamo alle domande dell’inizio:
- ci sono felicità di tipo diverso?
- ci sono felicità che
- inducono la malattia?
- Sostengono la guarigione?
- Mantengono in salute?
E se è così,
- che differenza c’è tra questi tipi di felicità?
- E che importanza ha questa differenza rispetto alla guarigione e al mantenimento della salute?
Possiamo dire che sì, ci sono felicità come quelle descritte nel primo esempio:
- felicità legate a un obiettivo,
- felicità legate a una sfida,
- felicità legate agli affetti
e poi c’è la felicità senza condizioni, come quella del secondo esempio:
- felicità non legata al fare,
- felicità non legata all’ottenere,
- felicità non legata al dare,
- felicità legata solo all’essere,
Ecco che arriva l’obiezione: “quindi vorresti dire che cercare di ottenere ciò che si vuole, anche quando è sacrosanto, conduce al disastro in un modo o nell’altro?”.
Solo se non si sono considerate tutte le parti in causa.
Se a volere determinate cose, situazioni, relazioni, è solo una parte di te e questo è uno stato di cose che permane per tutta la tua esistenza, ti invito a interrogarti con estrema sincerità sul tuo “grado di felicità indipendente” da quelle cose, situazioni o relazioni e da lì scoprirai la risposta alla tua stessa domanda.
A questo stadio di felicità che ho chiamato 2.0, allora non è che uno non si ammala più, perché:
- il punto non è essere esenti dalle prove della vita,
- il punto è invece che in fondo non fa differenza,
infatti, come ho già detto in un articolo precedente:
- non sono le esperienze che fai che ti danno la felicità,
- ma il modo in cui tu vivi le esperienze che sei chiamato a sperimentare che ti da la felicità.
Non senti più il bisogno di sforzarti, non ti manca nulla e quindi non subisci la frustrazione. Tu osservi la tua vita per quello che è e ne noti la bellezza e la perfezione, tu sei completamente libero di essere felice nonostante l’esperienza che vivi, e le esperienze che vivi -ora che eserciti quella libertà- sono come tu le vuoi, perché ricordiamoci che c’è modo e modo anche di stare nella malattia oltre che di stare dentro la propria vita.
Certo non è una passeggiata arrivare a questo stato, ma se lo sperimenti almeno una volta lo conosci, sai della sua esistenza e ti è più facile riprendere il filo e tornare in quello stato mentale superiore in cui “tutto è perfetto” anche quando “scivoli giù” e la frustrazione e la paura si riaffacciano.
Io stessa, mentre venivo a conoscenza di questa possibile realtà senza averla ancora direttamente sperimentata, facevo fatica a credere che fosse attuabile.
Quali sono state le chiavi per accedere?
- Darsi il permesso,
- mettersi nelle condizioni,
sono i due fattori che mi hanno portata inesorabilmente sempre più vicino alla possibilità di sperimentarlo, fino al momento in cui mi ci sono ritrovata dentro e allora sai che è possibile.
Andando a monte e considerando davvero ogni parte di noi che interviene nel nostro vivere, si può iniziare a guarire non solo dalla malattia, ma anche da una vita infelice.
Alla luce di tutto ciò la vera guarigione si può definire come l’asso che piglia tutto, poiché si porta via malattia e infelicità.
La tua personale“distanza” da questo stato di felicità incondizionata la puoi già misurare dalla tua reazione a questi concetti. La gamma delle sensazioni è ampia, dal rifiuto, al fastidio, al dubbio, all’incredulità, fino alla possibilità, alla nostalgia e al desiderio.
Come si fa allora per passare dalla felicità “condizionata” a quella “incondizionata”?
Il lavoro, all’interno di un percorso di coaching integrato, in cui tutto l’individuo è coinvolto, parte quindi senz’altro dal
- portare l’attenzione, attraverso domande mirate, a come “vibri” di fronte a questo nuovo modo di guardare alla tua vita,
- individuare le tue credenze, cioè ciò che guida la tua vita quando agisci automaticamente e ciò che determina il tuo modo di intendere la salute e la malattia,
- scovare le paure che ti inducono a scegliere e plasmare la tua vita a tua insaputa,
- ristrutturare le tue credenze e iniziare a dirigerci verso la vita che vuoi con una nuova potentissima alleata, la tua parte sommersa.
Quello che ho imparato dalla mia personale esperienza di malattia-cura e guarigione (video) e tutti gli strumenti che ho acquisito diventando un coach integrato, specializzato nel superamento della paura, sono felice di metterli a tua disposizione perché:
- non è necessario ammalarsi per decidere di cambiare qualcosa,
- se la malattia arriva non è detto che sia una condanna, ma può essere una grande opportunità.
Se ritieni di voler approfondire come posso aiutarti con il coaching integrato o se semplicemente vuoi contattarmi per pormi tutte le domande che desideri, sei il benvenuto, ti offro una sessione gratuita a questo scopo.
Se vuoi sapere cosa dice di me chi ha già scelto di lavorare con me, puoi farlo qui.
Quando riconosciamo veramente che le nostre credenze sono così potenti, abbiamo in mano la chiave della libertà.
Bruce Lipton