
La frase fa parte di una conversazione avuta recentemente durante una cena, quando il discorso è andato a finire sulla vicenda di una conoscente alla quale è stato diagnosticato un tumore ad uno stadio molto avanzato.
Un amico ha esordito, quasi subito, dicendo quello che in molti pensiamo ogni volta che queste notizie ci sfiorano: “Ah guarda, se capitasse a me, io mollo tutto immediatamente e faccio solo quello che mi va di fare”.
Dal mio nuovo punto di vista, dove la malattia non solo mi ha sfiorata, ma mi ha vissuto accanto più volte e in modi piuttosto invadenti, ho replicato: “Ma scusa, e c’è bisogno che ti diagnostichino una malattia allo stadio terminale perché tu decida di passare all’azione, mollare tutto, cambiare vita e fare finalmente ciò che vuoi?”
Anche le sue risposte, che io definisco “risposte-alibi”, sono più o meno le stesse dietro le quali tutti ridimensionano immediatamente il precedente, sano istinto al cambiamento:
… eh ma ci sono i debiti.
… eh ma lo faccio per i figli.
Intanto intorno si è fatto silenzio, tutti ascoltavano e molto probabilmente, mentre si vedevano scorrere davanti agli occhi le proprie vite, in modo automatico rispondevano in cuor loro delle scelte e delle situazioni che ritenevano intoccabili e impossibili da cambiare.
Questa è stata la mia prima obiezione al comportamento che tutti noi giustifichiamo come il più ragionevole, ma che se analizzato a “mente fredda” manifesta la sua profonda irrazionalità:
“Tutti abbiamo ricevuto una diagnosi infausta, appena siamo nati … quella di dover prima o poi morire, lo sai vero?”
Hai presente il film “Non ci resta che piangere”, la scena con Troisi al balcone?!
Oppure se sei più sul romantico, puoi vedere la cosa come l’incantesimo della strega Malefica nella favola “La bella addormentata nel bosco”.
A esaminare bene i nostri comportamenti comuni, si direbbe che a noi ne hanno fatti addirittura due di incantesimi, infatti “dormiamo” da subito, mentre siamo vivi, per poi riaddormentarci da morti.
Ma cos’è questo sonno? È sempre solo una questione di paura.
Perché se si cambia e cioè non si accetta di dormire, si ammette che la morte è una realtà e non c’è paura più grande … ma d’altro canto che si muore è un dato di fatto per tutti e non solo per chi si confronta con una malattia e allora a maggior ragione, non varrebbe la pena di vivere la vita che si vuole?
E la faccenda dei debiti e dei figli? Come la mettiamo con le responsabilità che abbiamo?
L’altra domanda che ho posto al mio amico allora è stata: “Ma tu sai nei confronti di chi ce l’hai la tua prima responsabilità?”
Non gli è venuto in mente nemmeno per un attimo che potesse essere verso sé stesso, non per egoismo, ma proprio perché la sua vita è quella che gli è stata affidata per prima e anche perchè non si può dare agli altri ciò che prima non si possiede, anzi è rimasto perplesso, così io ho continuato: “Quindi ciò che lasci ai tuoi figli in eredità è il messaggio che:
- sacrificarsi ad oltranza è l’unico modo per poter fare del bene a coloro che ci stanno a cuore,
- la nostra felicità non è importante,
- di conseguenza anche per loro sarà la stessa cosa.
Non potrebbero, i tuoi figli, imparare da te che
- scegliendo di esprimere ciò che ci fa stare bene e cercando di perseguirlo, si possa amplificare il bene non solo per sé stessi, ma anche per gli altri?
- non è necessario che nessuno si auto-costringa in una vita che non gli appartiene e che -per giustificarla- ne addossi –seppur involontariamente- la responsabilità ai propri figli, cosicché il senso di colpa -che inevitabilmente proveranno- li porti, per tutta la vita, a sentire a loro volta di doversi sacrificare per tentare di pareggiare quel conto che non riusciranno mai a riportare all’attivo?”
Invece di rispondere, il mio interlocutore dribbla la questione figli e gioca la carta dei soldi e dei debiti (che sono poi stati fatti sempre per i figli, almeno sembra).
E anche qui, se stessimo parlando di qualcun altro e non in prima persona, sarebbe immediato per tutti dire che “la pelle vale più di qualsiasi cifra”, ma quando questo discorso viene riportato sulla nostra vita e sulla nostra situazione ecco che le cose cambiano, anche se ci si accorge che poi quel debito si poteva pure non farlo … che in fondo, se fossimo stati davvero “contenti”, non sarebbe stato necessario. Magari ci eravamo appena liberati dai debiti di gioventù, era giunto il momento davvero di fare quello che volevamo e invece chissà perché ecco che compare un altro debito e tutto deve rimanere tal quale ancora, per anni … sempre “per i figli”…
A proposito dei figli, faccio un inciso, spesso sui social trovo questo brano di Kahlil Gibran tratto da “Il Profeta”. Riceve sempre molti like, probabilmente però altrettanto spesso non se ne coglie fino in fondo il significato, e credo che a questo punto del discorso invece lo si possa leggere con occhi e cuore differenti:
E una donnna che stringeva un bambino al seno chiese: parlaci dei Figli.
Ed egli disse:
I vostri figli non sono i vostri figli.
Essi sono i figli e le figlie della smania della Vita per sé stessa.
Vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché stiano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Voi potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i propri pensieri.
Potete dare alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime, poiché le loro anime dimorano nella casa del futuro che voi non potete visitare neppure in sogno.
Voi potete sforzarvi di essere come loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Poiché la vita non va all’indietro e non si trattiene sullo ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli vengono proiettati in avanti, come frecce viventi.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinto ed Egli vi tende con la sua Potenza in modo che le Sue Frecce vadano rapide e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia dalla mano dell’Arciere;
Poiché com’Egli ama le frecce che volano, così ama pure l’arco che è stabile.
Bello vero? Lo definirei un inno alla libertà e mi fa pensare che se davvero fossimo in grado di agire così nei confronti dei nostri figli forse a lungo andare, per le future generazioni, non ci sarà più così bisogno di frequentare i corsi di costellazioni familiari.
Torniamo alla conversazione intorno a quel tavolo e alla mia ultima domanda:
“Se oggi fosse il tuo ultimo giorno sulla terra, saresti soddisfatto di come è stata la tua vita?”
E lui a me: “Sì, io sono contento di me stesso”.
“E allora non si capisce perché hai appena detto che se ti capitasse di ricevere una diagnosi pesante molleresti tutto subito”.
Purtroppo la nostra conversazione è stata interrotta prima che il mio interlocutore trovasse qualcosa da rispondere, ma io ho continuato a ragionarci sopra.
Volendo proprio andare alla radice, ricordiamoci che la parola “contento” deriva dal latino: contentus participio passato di “continere” che in italiano è “contenere”: chi si contiene entro certi limiti; tenere in sé, contenersi, raffrenarsi.
Devo così dedurre definitivamente che chi risponde come il mio commensale -che è contento- non ha proprio motivo di affermare contemporaneamente di voler mollare tutto né in salute né in malattia, dato che “si contiene” entro i propri limiti. Se sei affascinato da questo argomento ti suggerisco una bellissima intervista rilasciata da Igor Sibaldi sulla Disobbedienza che può stimolare ulteriormente le tue riflessioni.
Io ho continuato a interogarmi, ho passato in rassegna le vicende di molte persone che ho conosciuto e la domanda successiva che mi sono posta è stata questa:
Quando capita per davvero di ammalarsi, la maggior parte della gente non fa nulla neanche in quel momento, perché?
Perchè nemmeno adesso, chi è stato “svegliato dal primo sonno dell’incantesimo, per essere avvertito che si dovrà riaddormentare”, non fa nulla?
Perché è davvero contento, cioè si “contiene nei limiti”? Mah … ho molti dubbi.
Per vedere cosa può accadere davvero in certi frangenti, ho rivolto lo sguardo verso la mia vita e la mia esperienza e non più a ipotesi di realtà come è stato fatto nella conversazione di quella cena.
E così mi sono chiesta:
“Io prima di essere messa alla corde dalla malattia, ci ho mai davvero pensato al cambiamento?”
Purtroppo mi rincresce dover dire che la risposta è no. Per lo meno non più di tutti quelli che pensano che se vincessero al superenalotto si trasferirebbero su un’isola deserta sorseggiando una Piña Colada, sotto una palma, adagiati su di un’amaca a guardare il mare blu.
E perché non ci ho mai davvero pensato come a una cosa fattibile?
Confesso, “la paura di cambiare fa 90” e così vai avanti senza sentire nulla perchè come dice il proverbio:
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Poi però ti ammali sul serio e lì inizi ad avere il sentore di dover cambiare qualcosa, ma più il sentore diventa chiaro, più si ingigantisce la paura e così sordo eri e sordo rimani, più che puoi.
Come accade che ti si “sturano le orecchie”?!
Piccola cronistoria di uno “sturamento di orecchie”.
È un processo che si realizza per fasi:
la prima grande spallata alla fortezza inespugnabile delle mie convinzioni e della mia vita è stata la revoca, avvenuta alla fine della terapia, dei permessi di cui godevo mentre facevo la chemio, grazie alla legge 104. Questo fatto mi ha mandata in crisi.
L’ho recepito come il messaggio che tutto doveva tornare come prima, dovevo riprendere la mia vita e il mio lavoro esattamente come prima, niente più “trattamento di favore” e io sapevo di non potercela fare.
Quello che mi mancava però era il coraggio di dirlo, di chiedere aiuto e qui si capisce bene, anche per chi non fosse un esperto, che la malattia era davvero un alibi … e ora, senza la chemio l’alibi non c’era più.
So, che detta così brevemente, può sembrare quasi “scandaloso” pensare che una persona arrivi inconsciamente a trincerarsi dietro una malattia e le sue conseguenze, pur di non affrontare più la propria vita e la propria immagine che da agli altri di sé stessa dentro quella vita (voglio sottolineare che io in quel periodo non ero costretta né più né meno di chiunque altro ad andare al lavoro, avrei potuto chiedere un’aspettativa, o anche solo prendermi tutte le ferie che avevo, ma tra il pensiero dei soldi e quello dell’idea che si sarebbero fatti di me, io di fatto mi sentivo obbligata a stare nella mia vita così com’era, non vedevo scampo).
In quel periodo, per dirla con La Bella Addormentata, ero ancora nel primo sonno, e come ho detto prima, quello che avevo era un “sentore”, avevo il disagio, la paura, il dolore, ma non la visione d’insieme, non ne possedevo il significato, potrei dire che mi barcamenavo nel malessere e basta.
La mia scelta è stata ancora tapparsi tutto, non solo le orecchie, per essere ben sicura che da nessuna parte potesse arrivare lo stimolo a cambiare, troppa paura (sempre utilizzando la metafora del sonno, mi sono girata e ho ficcato la testa sotto al cuscino).
La seconda bordata è arrivata sei mesi dopo; dopo essere tornata diligentemente al lavoro e dopo la fine della tregua concessami dall’effetto della chemio sulla malattia. Alla sua ripresa però io ero in uno stato differente, avevo iniziato a cercare risposte, ma soprattutto a farmi domande, avevo letto e sperimentato sia cure per il fisico che strumenti per la psiche.
Mi ero svegliata, anche se a baciarmi non era stato un principe bensì una recidiva.
Avevo cercato e trovato aiuto e dopo la prima seduta con la dottoressa Poli, con cui avevo iniziato il mio percorso, che definisco di auto-guarigione globale di tutto il mio essere, al mio rientro a casa trovo scritta “inavvertitamente” da lei, una nota, sul retro del foglio riportante la prescrizione di un rimedio naturale, che diceva: “cambiare lavoro”. Era un particolare di una mia frase, alla sua domanda in seduta:
“Come si vede da guarita?”
E dentro di me inizia a muoversi qualcosa, ma in modo estremamente lieve … in fondo lo so, è che non so da che parte cominciare … quando cerco di immaginarmi la fattibilità inizia il balletto di paure e impossibilità e la tentazione è rimandare. E qui ancora penso di potermelo permettere, che in fondo sia troppo grossa, che per gli altri, che invece hanno cambiato, come Martin Brofman, di cui ho già parlato in un articolo precedente, sia diverso, io non posso… come faccio?!
La faccenda diventa via via più chiara man mano che la mia malattia resiste e continua imperterrita a crescermi sul collo, per arrivare a esprimere razionalmente la sua completa irrazionalità quando ho fatto lucidamente questa considerazione qualche mese dopo:
L’auto aziendale
Per fortuna che ce l’ho, così posso andare gratis a Pavia al Cnao a curarmi … ma se ci penso bene io a Pavia a curarmi ci vado perché mi costringo in quel lavoro e in quella vita che mi garantisce l’auto con la quale vado a curarmi dalla malattia stessa che la mia realtà odierna mi procura!
Diabolicamente assurdo! Devo rompere la catena!!!
Io sono dovuta arrivare fin lì.
E in realtà non è bastata neanche quella assunzione di consapevolezza per evitarmi di affrontare la paura che se ne stava ancora lì, viva e vegeta più che mai ad aspettarmi, quando ho deciso di prepararmi per dire definitivamente basta.
Ma perché bisogna arrivare fin lì e fare così tanta fatica e rischiare di non avere nemmeno più la tanto agognata possibilità?
Oltretutto ricordiamoci bene che una volta che il disagio è passato nel fisico ed è diventato malattia, non è detto che “l’illuminazione” basti a fermarlo, a volte le scelte fatte e ripetute conducono davvero alla fine della nostra esperienza terrena.
È questo ciò che desideriamo, mettere fine alla nostra esperienza terrena a qualsiasi costo?
Ancora una volta è una questione di paura.
Quindi la questione vera è: ma questa maledetta paura si può eliminare?
La risposta per fortuna è sì, e sai come?
Con il coraggio.
E qui sento che scatta il boato!
Questo solo perché non consideriamo mai una cosa e cioè che tutto ciò è solo un gioco della mente, perché nel momento in cui agisci, cioè dai spazio al coraggio, la paura svanisce e tu in quel momento ti accorgi “che sei ancora vivo”, qui e ora, il resto non conta più nulla.
Tutto molto bello, ma in concreto da che parte bisogna cominciare?
Il primo passo
Accettare di essere spietatamente sincero con te stesso, cioè accettare di voler “sentire”, non me, ma Te stesso, ciò che ti urla dentro.
Se non sei d’accordo sul fare questo, lascia perdere, sarà tutto inutile, anzi ti sembrerà tutto molto stupido e irrazionale.
Se invece pensi di volerti dare una possibilità e di lasciarTi parlare, allora puoi iniziare.
Predi un foglio e una penna, ma prima di tutto rispondi a quasta domanda:
Se chiudi gli occhi e immagini un mondo perfetto in cui tutto è possibile, tu cosa faresti in quel mondo? Dove saresti?
Scrivi la tua risposta.
Il secondo passo
Ora puoi indagare il tuo livello di disagio nel tuo presente, nella vita che vivi così com’è.
Chiudi di nuovo gli occhi e lascia che la parte di Te più interna dica la sua verità.
Puoi provare a dargli un valore da 1 a 10, qualunque sia l’ambito della tua vita in cui lo provi e anche se la riguarda globalmente.
Il terzo passo
Mentre analizzavi la tua voglia di essere sincero avrai già incontrato la tua paura e in base ai discorsi che hai fatto tra te e te, per decidere di proseguire, hai già “misurato” il tuo livello di paura, ora puoi dargli un valore da 1 a 10.
Il quarto passo
E’ il momento di attribuire un motivo alla tua paura, questo ti permetterà di individuare le tue resistenze al cambiamento.
Quali sono i motivi per cui reputi impossibile mettere mano alla tua situazione?
Dalla risposta che darai potrai risalire a cosa ti frena:
• paura di non avere sostentamento
• Paura di rimanere solo
• Paura di non sapertela cavare
• Paura della paura
• Paura di essere giudicato e di giudicarti: irresponsabile, fallito, infantile, pigro, sleale, poco serio, inaffidabile, scorretto, inconcludente, poco amorevole, ingrato, vigliacco, debole, deludente, impreparato, brutto, disonesto, superficiale, traditore, incapace, sciocco, egoista, illuso …
Questo è solo un piccolo esercizio di consapevolezza che se fatto con onestà e messo per iscritto può darti un chiaro quadro:
- del tuo obiettivo,
- degli ostacoli che si frappongono tra voi,
- della forza che tu attribuisci a questi ostacoli.
Ora è nero su bianco:
- non è più un fastidio o un’angoscia senza forma,
- non è solo “vorrei stare meglio”,
- è la vita che vuoi.
Questo è lo stato ideale per partire e avvicinarti a grandi passi alla risposta che hai dato alla prima domanda ad occhi chiusi e cioè “se tu immagini un mondo perfetto in cui tutto è possibile, tu cosa faresti in quel mondo? Dove saresti?”
Ho creato un gruppo fb che si chiama Cambia Animo sa Mente: C.A.M. Change! Act! Move! dove ogni giorno affronto le innumerevoli sfaccettature della paura del cambiamento e dove, rispondendo a 3 semplici domande, puoi accedere immediatamete a tutto il materiale pubblicato e al mio supporto. se ti interessa andare oltre la paura e dirigerti finalmente verso la vita che vuoi iscriviti qui.
Se vuoi invece vuoi approfondire come posso aiutarti ad azzerare per davvero e una volta per tutte la tua scala di disagio che hai appena scritto, allora clicca e scopri come ti aiuta il coaching integrato e cosa posso fare per te che hai deciso di passare all’azione.
Questa è l’opinione di chi ha già scelto di affrontare con me il suo viaggio.
Ricordati che io ci sono passata, come si suol dire “ci sono stata dentro con tutte le scarpe”, ma ricordati soprattutto che ne sono uscita, io però ho pagato un prezzo molto, molto alto e mi sono presa un rischio molto grosso, ecco perché ora dico sempre e dappertutto che ho deciso di diventare coach perche altri non debbano pagare quello che ho pagato io e che non è necessario ammalarsi per decidere di cambiare qualcosa.
Buon risveglio e benvenuto nella vita che vuoi!
Se il tuo obiettivo non ti spaventa non è grande abbastanza.
Richard Brenson