
L’analisi del nostro difficile approccio al cambiamento iniziata con l’articolo di due settimane fa, dedicato agli alibi che sapientemente utilizziamo per rimanere fermi all’interno della nostra vità, anche se non ci da ciò che desideriamo, prosegue oggi alla ricerca dei meccanismi, delle motivazioni e delle paure profonde che ci impediscono di vedere la verità e di avere il coraggio di abbracciarla.
Ripensando a me e alla moltitudine di eventi degli ultimi anni mi sono chiesta:
“ma qual è stata, dentro il mio viaggio nella malattia, la miccia che ha innescato la trasformazione nella mia vita?”
Il passaggio dalla teoria –so cosa dovrei fare per essere felice- alla pratica –faccio ciò che è necessario per essere felice- è stato nel lasciar cadere tutto, immagine, aspettative e certezze legate alla mia vita così com’era.
Nel mio caso il primo, grande baluardo da espugnare era proprio legato alla professione, alla certezza della retribuzione, alla sicurezza economica che ne derivava.
Lasciare -nonostante io vedessi nell’idea di rimanere solo sofferenza certa- già di per sé era un ostacolo immenso, perché avrebbe oscurato la mia immagine di “colei che non molla mai”, per restituirmi una immagine di me alla quale non ero per niente abituata e che nessuno avrebbe riconosciuto come ME.
Il secondo, ma non meno difficile ostacolo, cioè il fatto di farlo senza avere una immediata alternativa, significava attraversare la linea dell’ignoto e accettare di starci senza i punti di riferimento consueti da usare per sfamare il mio bisogno di sicurezza.
Ora, “atterrata al di qua del ponte sul quale ho corso a perdifiato incurante del crollo che avveniva sotto i miei piedi”, posso rispondere con certezza a quella domanda:
“la miccia è stata proprio superare la paura del cambiamento.”
E naturalmente il mio pensiero, qui mentre scrivevo, è stato ancora una volta:
“ok, devo dirlo a tutti, lo devono sapere tutti, subito!”
Poi ho iniziato a riflettere su come sarebbe stata presa questa “novella” e ho rivisto me, in tempi non sospetti, leggere per caso da qualche parte le mie argomentazioni e ho risentito i miei pensieri:
“ma chi è ‘sta pazza visionaria? Che ne sa di chi sono io … io lo so perfettamente chi sono, non ho bisogno che qualcuno me lo dica e non ho paura di un bel niente, sono così e basta. E perché diavolo dovrei mettermi a cambiare qualcosa?
Poi ho visto altri visi e ho sentito le risposte:
“eh, ma per te è diverso”, “Io non me lo posso permettere”, “se solo non mi fosse capitata quella cosa…” “se solo fossi un po’ più giovane…”, “ah certo che se non avessi la famiglia”, “beh se i miei figli fossero già grandi…”, “se mio marito fosse diverso…”, “se avessi qualcuno su cui contare…”, “alla mia età chi vuoi che mi consideri…”, “e se poi va male?”, “ma capirai io non so fare niente, dovrei imparare tutto da zero”, “ ah certo che se fossi nato in una famiglia benestante…”, “ se avessi potuto fare l’università allora sarebbe stato diverso”, “se non fossi stata fregata già tutte quelle volte”, “sai se avessi iniziato da giovane ora potrei permettermelo”, “ma con questa crisi non si può”, “se fossi da solo sarebbe tutta un’altra cosa”…
E infine son tornata al presente e ho capito che la domanda più interessante e più utile a cui rispondere è:
Perché è così difficile cambiare?
Perché lasciare andare sembra una follia, un fallimento?
Perché anche solo stare a sentire qualcuno che parla di cambiamento ci fa sollevare immediatamente un sacco di obiezioni, che altro non sono che le nostre difese che si mobilitano per mantenere lo status quo?
Intanto partiamo col fare una constatazione bella e buona: siamo stati educati a resistere, sopportare, dovercela fare a tutti i costi, tenere duro, non mollare. I nostri eroi incarnano questi principi.
Questi atteggiamenti però degenerano in:
- non cambiare mai,
- sopportare ad oltranza situazioni che ci rendono infelici e ci fanno soffrire
camuffando tutto con “io mi accontento” oppure “è già tanto che va così perché potrebbe essere peggio” e l’infallibile “non si può avere tutto dalla vita”.
A testimoniare quanto sia anche un fatto culturale possiamo dare un’occhiata alla compilation di detti popolari che abbiamo in merito:
- “Lasciare la strada vecchia per la nuova”
- “Moglie e buoi dei paesi tuoi”
- “ Sai quel che lasci ma non sai quel che trovi”
- “ Ogni lasciata è persa”
- “ Chi la dura la vince”
Mille sfumature della stessa musica.
Questa è tutta roba che abbiamo mangiato e respirato per tutta la vita … qualche segno lo avrà lasciato, o no? Almeno un bel sacco pieno di senso di colpa da trascinarci dietro quello è certo.
Ok, senz’altro l’educazione ha il suo peso, ma ci deve essere dell’altro, come si dice “ci mettiamo anche del nostro”, di cosa si tratta allora?
Cosa comporta uscire da una situazione che ci procura dolore e non ricadere in qualcosa di molto simile quanto prima (perché è fattibile lasciare una situazione, ma molto più arduo non trovarsi, di lì a poco, senza neanche capire come, di nuovo a confrontarci con la stessa “musica”) ?
Qualunque sia l’approccio a cui ci rivolgiamo la risposta che otteniamo è sempre la stessa:
Il vero salto si fa liberandoci della storia del nostro passato.
Ma esattamente cosa significa?
Ormai tutti sappiamo che la nostra storia è il frutto dei nostri traumi infantili, è scritto ovunque, ma il fatto è che se non ci decidiamo a passare oltre, rimaniamo ad oltranza incastrati in quegli eventi che insceniamo per tutta l’esistenza.
La nostra vita ne viene interamente fagocitata e così noi, arrivati in fondo al nostro percorso su questo pianeta, non avremo mai saputo chi siamo veramente.
Capire che non serve più impersonare lo stesso personaggio di sempre (perché se c’è una storia c’è anche un personaggio).
Invece noi siamo così convinti del personaggio che interpretiamo da diventare quel personaggio e riconoscerci solo in esso, quindi è logico che ci sembri una pazzia abbandonarlo, ma d’altro canto quel personaggio non potrà fare altro che quello che gli attiene, che sa fare, per cui è nato, quindi in questa logica la nostra vita è già segnata e così ecco che abbiamo
- la pluri-sedotta e pluri-abbandonata;
- il perenne fallito della professione;
- colui che non sa amare e che passa di fiore in fiore;
- quello che paga sempre a caro prezzo il successo professionale;
- quello che deve sempre cedere a qualche compromesso;
- quella che li deve redimere tutti;
- colei che ama tantissimo, ma non riceve mai abbastanza ecc
Ma tra il dire e il fare …
La potenza e la veridicità dei nostri personaggi, ai nostri occhi, va di pari passo con la nostra convinzione e a livello corporeo siamo talmente assuefatti a loro che ci entrano nel corpo, infatti ci muoviamo come loro, camminiamo come un depresso, siamo piagnucolosi come un bambino, e con la stessa granitica convinzione crediamo anche alle storie degli altri e così ci confermiamo l’un l’altro.
Aiuto! Qui non se ne esce!
Avete presente il film “Man in black” con Will Smith ? Gli insettoni che invadono la terra e “entrano nei corpi degli umani usandoli come dei vestiti”?
È proprio il modo in cui gli stanno addosso quei “vestiti” a svelare che non sono autentici, che non sono tagliati su misura per loro.
Se immaginiamo di essere noi ad indossare quei panni , questi difetti di “taglio” sono la causa della sofferenza che ci procura interpretare il nostro personaggio che non è noi.
A questo punto la curiosità è capire
- Perché ci costringiamo ad oltranza in un”abito che ci sta male e ci da fastidio”?
- Perché “siamo malati” di coazione a ripetere in eterno?
- Perché non molliamo mai?
Ci deve per forza essere un tornaconto e deve esserci a dispetto del dolore e del fastidio che ci causa.
Tornando alla metafora del film basta rispondere a questa domanda:
“Cosa interessa all’attore più che essere l’indiscusso protagonista?”
Nulla.
Infatti dichiariamo ai quattro venti di aver superato quella fase della nostra vita, ma a smettere il ruolo non ci pensiamo neanche un secondo!
Pensateci.
Non sembra proprio quel che accade in una soap opera o in una saga infinita in televisione o al cinema?
Se usciamo dalla nostra storia perdiamo il controllo e c’è una parte di noi che non ci pensa neanche, perché mollare -per quella parte di noi- significa morire!
Senza quella maschera chi ci riconoscerebbe più?
Senza quel personaggio non siamo più nulla. Che il nostro personaggio sia vincente o perdente, non fa differenza, ma piuttosto c’è da considerare il prezzo che si paga a stare lontani dalla propria verità cioè l’insoddisfazione e la sofferenza!
Ma anche lì, come possiamo azzardarci a barattare questo “senso di sicurezza” e questo “scopo garantito” con qualcosa di nuovo e sconosciuto?
“Sei pazzo?”
“E dopo?”
“E come farai?”
Nel nostro mondo abbiamo delle certezze, non importa se sono dolorose, sono pur sempre certezze.
Là fuori, nell’ignoto delle infinite possibilità, “noi non siamo nessuno”.
Ecco come ci parla dentro di noi la paura di scomparire e così all’infinito si ripete lo stesso copione, la soap opera va avanti e tutto ciò che non rientra nel copione è destinato ad essere tagliato, ogni parte originale di noi viene estromessa e bandita poiché non rientra nella trama.
Tra l’altro anche gli altri attori della nostra storia li vediamo solo per quel che serve al nostro copione e così non li conosceremo mai per quello che sono davvero. E da qui le generalizzazioni ben note come ad esempio “gli uomini sono tutti uguali”; “non bisogna mai fidarsi delle donne”; “i capi sono tutti s******”.
E se invece ci prendiamo il rischio? Cosa ci attende là oltre il muro?
Se arriviamo ad avere il coraggio di abbandonare il certo per l’incerto e usciamo dal nostro personaggio e da tutte le convinzioni limitanti che lo accompagnano,
cade l’identificazione, non siamo più “quello”, ma svolgiamo solo “quelle mansioni”.
Questo ci permette di Non Nutrire più tutte le aspettative legate al ruolo e quindi non possiamo rimanere delusi quando non si realizzano per cui “miracolosamente” non ne soffriamo più.
Ci accorgiamo anche che l’immagine della persona che eravamo convinti di essere non esiste più e ci domanderemo liberamente e senza alcun timore: “chi sono?”
Il punto cruciale è qui, nel passare dalla paura al coraggio per accedere alla nostra verità.
Ma chi sta a guardia del ponte levatoio per evitare che il dubbio sulla autenticità della nostra realtà, così come la conosciamo, possa insinuarsi nella nostra mente?
Incredibile, ma è lei, la “ragionevolezza” che ci sorveglia tutte le entrate!
Si finisce per usare la ragione per giustificare perennemente scelte irrazionali che sono per noi dannose e ci creano sofferenza e oltretutto saperlo non basta.
Sembra tutto ragionevole, ma in realtà parte tutto da un luogo interno dominato dalla paura.
Siamo convinti di avere il controllo della nostra vita e affrontare invece la verità che siamo controllati dalla paura come burattini è devastante e umiliante. La viviamo come una minaccia di perdita di ruolo, scopo e identità.
Caroline Myss
Molti sono i tipi di paura che ci abitano:
- la paura della miseria materiale
- la paura di non avere ragione
- la paura di non essere accettati.
E lo sappiamo bene che di fronte alla paura giustifichiamo qualsiasi comportamento deleterio verso noi stessi e così ci inchiodiamo al copione.
Capiamoci, la paura ha un suo scopo originario nobile ed è quello di preservarci per perpetuare la specie, e ciò che temiamo di perdere o di intaccare sono valori veri, gli affetti, il sostentamento, la tranquillità, l’immagine di noi.
E allora perché non funziona? Perché soffriamo?
Proprio per quello che dicevo prima, perché siamo in un film e nel film siamo vincolati al copione.
Capire quale sia il tipo di paura che ci trattiene nel nostro film e come lo faccia
è indispensabile
- per iniziare a intraprendere il viaggio dalla paura al coraggio,
- per uscire dal film,
- per scoprire e abbracciare la nostra verità,
con tutto ciò che di meraviglioso comporta.
A questo scopo ho trovato molto utili le domande che la mistica moderna Caroline Myss ci invita a porci. Alcune sono domande dirette a cui forse qualcuno saprà già rispondere, altre ci conducono per mano attraverso la nostra logica abituale nel tentativo di svelarci “dove fa acqua”.
Partiamo!
Orgoglio vs Cambiamento
Esiste paura più potente che quella di venire umiliati? Mmm…non credo. E essere umiliati non è forse una questione di orgoglio? Per questo l’orgoglio ferito è devastante.
Per evitare vergogna e umiliazione siamo disposti a evitare qualsiasi rischio anche se, allo stesso tempo, possiamo vergognarci di non avere il coraggio di prenderci alcun rischio accontentandoci, ed è un cane che si morde la coda!
- Cosa sei capace di fare se vieni ferito nell’orgoglio?
- Quanto è facile ferire il tuo orgoglio?
- Sai perché hai un orgoglio così fragile?
- È difficile tornare nelle “tue grazie” quando sei stato umiliato?
- Quanto dolore hai provocato ad altri a causa del tuo orgoglio ferito?
- Quanti dei tuoi stress emozionali e fisici sono il risultato delle paure di essere umiliato o di giochi di potere in cui sei coinvolto per orgoglio?
Autostima e Potere personale vs Cambiamento
Siamo convinti di avere dei diritti acquisiti di conseguenza ci aspettiamo che tutto si risolva a nostro favore, che abbiamo sempre ragione, che lo scopo dell’esistenza degli altri sia avere cura di noi, che le cose brutte non ci debbano mai accadere.
A seguito di tali pensieri nutriamo aspettative irrealistiche che ovviamente vengono deluse e nel tentativo di evitare questa delusione ci sembra naturale manipolare gli altri per ottenere ciò che “ci spetta”.
- C’è qualcosa a cui pensi di avere diritto nella vita?
- Quanta frustrazione e quanta rabbia derivano dal fatto che le cose non vanno come sarebbe giusto secondo te?
Bisogno di certezza e Controllo vs Cambiamento
La pre-occupazione ci pervade e non lascia spazio ad altro tantomeno al goderci il presente.
- In che ambito della vita non ne hai mai abbastanza?
- Cosa temi di non avere abbastanza nella tua vita?
- Quanto tempo dedichi a pensare: “come farò ad avere la mia parte di questo o di quello”?
Inconsapevolezza vs Cambiamento
Il consumo fine a sè stesso, che siano droghe, cibo, alcool, idee negative, pensieri di altri o qualunque altra cosa al di fuori di noi, se prende possesso della nostra volontà ci rende incoscienti delle nostre azioni e del nostro potere di scelta.
E così siamo contemporaneamente carnefici e vittime inermi di noi stessi o di altri. Abdichiamo alla nostra forza di volontà di fronte al bisogno di approvazione o a qualunque altra fonte esterna.
Diventare cosciente significa, al contrario, assumere il comando della nostra volontà e conservarlo di fronte alle influenze di altri, alle paure e a tutte le illusioni esterne.
- Sei in grado di controllarti o ci sono cose o situazioni di fronte alle quali non riesci a trattenerti?
- Riconosci quando stai abusando di te stesso? Che effetto ti fa?
- Che scuse hai per le tue cattive scelte personali o di salute?
Confronto vs Cambiamento
Pensiamo di essere stati derubati delle nostre opportunità oppure di essere in diritto di possedere ciò che appartiene agli altri. Siamo così presi a guardare nel piatto degli altri da non renderci conto di ciò che di buono abbiamo nel nostro e così non vediamo le opportunità che si palesano davanti a noi.
- Sei abituato a confrontarti con gli altri?
- Esci sconfitto da questo confronto?
- Oppure gioisci quando sono gli altri a uscirne sconfitti?
Inazione vs cambiamento
Vagheggiamo di ciò che potremmo fare ed ottenere dalla vita senza riuscire a mettere in atto le azioni necessarie per concretizzalo, siamo convinti che debba arrivare qualcun altro che si assuma le responsabilità delle decisioni, si faccia carico del nostro benessere e realizzi i nostri sogni al posto nostro. Intanto la nostra vita va avanti e nulla accade.
- Sai qual è la cosa giusta, ma ti fermi al primo cenno di disagio?
- Fai scelte che mantengono la stasi della tua esistenza?
Dopo questa fantastica carrellata di miserie umane probabilmente avremo scovato
- i nostri punti deboli,
- l’ostacolo di fronte al quale ci blocca la paura
e avremo riconosciuto il nostro personaggio.
Ora possiamo provare a tirare le somme rispondendo a queste domande conclusive.
- Quali sono le paure che esercitano un controllo su di te?
- Hai mai sfidato le tue paure?
- Cedi di fronte alla paura?
- E perché lo fai?
- E cosa accade dopo?
- Come gestisci la rabbia che nasce dall’aver ceduto il potere alla paura?
- La trasferisci su qualcun altro?
- Chi punisci per essere tu prigioniero delle tue paure?
Conoscere e essere consapevoli è un ottimo inizio, ma come già detto, non è abbastanza per motivarci a fare il salto.
Continueremo a oscillare tra sofferenza e paura e il copione la farà da padrone.
Non ti è mai dato un desiderio senza il potere di realizzarlo.
Richard Bach
Cosa può fare la differenza da qui in poi?
- L’identificazione del nostro personaggio,
- il rilascio emotivo di quel legame malsano,
- la trasformazione delle convinzioni limitanti in convinzioni potenzianti in grado di tutelare al contempo i nostri valori,
- la individuazione di chiari obiettivi utili a portarci verso le nostre caratteristiche naturali, le nostre vere passioni, per farci esprimere ciò che ci fa battere il cuore,
Questo è ciò che può fare la differenza tra
- rimanere con una lista di risposte alle domande sulle nostre paure, ma dentro alla stessa situazione che ci causa sofferenza e insoddisfazione
e
- fare il salto dalla paura al coraggio verso la nostra verità, finalmente fuori dal film, dentro la nostra vera vita.
Certo può subentrare un fatto traumatico come una grave malattia o un infortunio a scuoterci come è capitato a me, ma chiediamoci:
“È ragionevole dover aspettare le estreme conseguenze per decidere di migliorare la propria situazione, rischiando tra l’altro di arrivare fuori tempo limite (la malattia non si ferma sempre quando noi capiamo, anzi…)?”
“È ragionevole pensare di aver bisogno di alibi del genere per andare verso la propria realizzazione e la propria felicità?
Se fino ad ora è stata la ragionevolezza a tenerci inchiodati al copione, non lasciamo che ora sia l’irrazionalità a negare che ci stiamo facendo del male.
Perché forse non ce n’eravamo resi conto,
ma non è necessario arrivare ad ammalarsi per decidere di cambiare qualcosa.
- Se le domande ti hanno intrigato e le tue risposte non lasciano più spazio alle solite scuse,
- se andare incontro a te stesso per quel che sei davvero deposti i costumi di scena è quel che cerchi,
- se la sofferenza è ormai da molto tempo più del gusto, come si dice dalle mie parti
allora contattami, sarò felice di offrirti una sessione gratuita per rispondere a tutte le domande che vorrai farmi.
Qui puoi scoprire cosa posso fare per te con il coaching integrato.
Quasta è la pagina in cui puoi leggere cosa dice chi ha già scelto di lavorare con me per passare dalla paura al coraggio.