
Coloro che sono chiamati ad essere il punto di riferimento di una persona che intraprende il percorso di malattia, cura e guarigione ora hanno un nome che viene dal mondo anglosassone, sono i caregivers, cioè coloro che “si prendono cura” (almeno adesso il nome ce l’hanno e da qui in poi li chiameremo così). Superare la paura è il loro primo compito per poter essere di vero aiuto.
Non si parla mai o quasi mai di chi è chiamato a supportare qualcuno che si ammala e invece si tratta di un esercito silenzioso di persone che vengono toccate dalla malattia negli affetti e che vengono investite del compito di essere
- efficienti,
- proattive,
- informate,
- decisioniste,
- empatiche,
- pazienti,
- instancabili,
- motivanti,
insomma dei veri e propri personal trainer per chi la malattia ce l’ha addosso e deve intraprendere il percorso di cura e guarigione.
Come la pioggia, quando cade, bagna tutti indistintamente, anche la malattia, quando arriva, tocca tutti quanti e così chiama a questo ruolo di supporto emotivo e operativo sia persone naturalmente attrezzate che altre non così immediatamente capaci di esprimere le doti necessarie in questi frangenti. Per tutte è comunque inevitabile confrontarsi con paura, la priopria e quella del diretto interessato.
Il grado di coinvolgimento richiesto al caregiver non è sempre lo stesso. Ci sono persone che non hanno bisogno pressoché di nessuno o solo di una presenza, altre invece che tendono ad abbandonarsi completamente nelle braccia delle persone vicine. Ogni caso è a sé, come unico è ogni individuo e unico lo scopo dell’esperienza per tutti coloro che sono chiamati a viverla, a ogni livello.
La mia esperienza in questo senso è molto variegata in quanto la mia famiglia e molti amici sono stati visitati a più riprese da questo scomodo ospite.
Ho sperimentato anche l’insolita opzione di essere contemporaneamente ammalata e caregiver, infatti io e mia madre siamo state operate al seno lo stesso giorno, occupando la stessa stanza di ospedale.
Diciamo che questo mi ha permesso di vivere l’esperienza “in stereo” e avendo poi un padre che si è confrontato con il cancro quattro volte, potrei aggiungere anche “in dolby surround”.
Perché sei un essere speciale
Ed io avrò cura di te.
Io sì, che avrò cura di te.
Molti di noi hanno sperimentato la malattia di persone vicine, di amici e parenti, molti la stanno vivendo proprio ora.
Sappiamo perfettamente che quando arriva a una diagnosi il mondo cambia non solo per chi la riceve, ma in modo significativo anche per il caregiver.
E tutta la gamma delle possibili emozioni attraversa anche lui, disperazione, sconforto e paura su tutte, ma poi lui ha il compito di riprendere le redini della situazione, di fare da traino per la persona cara e molto spesso anche di gestire i rapporti del resto della famiglia con la malattia.
Essere ben equipaggiati emotivamente e psicologicamente quindi è molto importante.
Cosa singnifica lavorare al massimo del proprio potenziale per supportare l’altro?
- Sentirsi sereni e capaci di affrontare la sfida che si è chiamati a vivere.
- Essere in grado di aiutare il proprio caro a riscoprire il valore della sua vita anche durante questa esperienza.
- Avere la capacità di infondergli forza e fiducia.
- Saper ascoltore e rispettare della volontà dell’altro.
- Essere pronti a sostenerlo nelle sue scelte.
- Avere la sicurezza in sé stessi necessaria per esprimere il proprio parere sia con il proprio caro che con i medici e con gli altri familiari
Avere risolto le proprie paure e il proprio eventuale senso di inadeguatezza è quindi fondamentale.
Ci sono molti pensieri che possono occupare la mente di un caregiver.
Alcuni dei pensieri più comuni sono questi:
- Io ti salverò.
- Io la/lo devo salvare.
- Non preoccuparti penso a tutto io.
- Non ce la farò.
- Non ce la farà.
- Non posso pensare che muoia.
- …
Con tutto questo nugolo di pensieri in testa cosa si aspetta da se stesso?
Da un lato di essere infallibile e onnipresente, ma allo stesso tempo può sentirsi sopraffatto e non sentirsi all’altezza di un evento di tale portata.
Quali possono essere le sue paure più comuni?
- La paura del dolore fisico dell’altro e del proprio dolore emotivo.
- La paura della fatica che l’esperienza comporta.
- La paura di tutto ciò che la malattia, entrando di prepotenza, può cambiare senza chiedere il permesso.
- La paura di un ipotetico confronto con la morte.
- La paura di essere inadeguato.
Quali sono le cause di queste paure?
- La mancata accettazione dell’evento.
- L’idea di non avere il controllo della situazione.
- Il pensiero di poter o dover salvare a ogni costo l’altro.
Quale può essere la conseguenza di queste paure?
Non riuscire ad essere efficente ed efficace nel compito che è chiamato a svolgere.
Come la paura impedisce al caregiver di sfruttare al massimo le sue potenzialità?
- La paura blocca e toglie energia e speranza.
- La paura chiude l’orizzonte e fa sentire di non avere tempo per prendere informazioni e decidere lucidamente.
- La paura annienta la fiducia in sé stessi e la capacità di fare scelte libere e consapevoli.
- La paura toglie la libertà di esprimere il proprio pensiero.
- La paura impedisce di vivere il presente e di essere presente.
Come può evitare di trovarsi in questa situazione?
Il caregiver per dare il meglio deve essere oltre la paura, questo significa:
- avere accettato la malattia,
- lavorare per la guarigione senza preconcetti,
- sentirsi libero, tranquillo e capace di parlare di tutto col diretto interessato e con tutte le persone intorno che siano medici o familiari,
- essere in grado di rispettare l’altro e le sue idee,
- essere consapevole che nessuno può salvare qualcuno che non vuole essere salvato,
- avere compreso che la malattia è un’esperienza dentro la quale, chi ce l’ha, è chiamato a passare e che egli non gli si può sostituire,
- avere una corretta percezione del tempo a disposizione,
- essere cosciente che a volte, ma solo a volte, la malattia è la fine del percorso di colui che ne è portatore,
- sapere individuare le priorità per il benessere del proprio caro.
I ruoli nella malattia.
La malattia chiama ad un’assunzione di responsabilità chi ne è portatore.
Come magnificamente espresso dalla dottoressa Erica Francesca Poli nel suo libro Anatomia della Guarigione
La malattia viene per dirti qualcosa di te.
Chi affianca un malato è bene che prenda coscienza di questo fatto e sia in grado di aiutare l’altro a trovare le risorse in sé per rispondere all’evento.
Perché la malattia non si debella senza il malato.
Ma qui quello che ci interessa è che anche per il caregiver la malattia ha uno scopo e un messaggio.
E’ importante che anche chi accompagna si interroghi e arrivi a cogliere il senso profondo che la malattia dell’altro ha nella propria vita.
Infatti non è raro che la stessa persona si sia trovata ad accompagnare diversi cari nella malattia e lo abbia fatto sempre senza operare quello scatto mentale che gli avrebbe dato modo di trovare il senso e lo scopo dell’esperienza per sé stesso.
Parafrasando ciò che dice lo psicologo e medico antropologo Alberto Villoldo nel suo libro –Le quattro rivelazioni– quando avremo imparato a guardare l’esperienza da un livello superiore non saremo più costretti a riviverla sempre allo stesso modo.
Le parole non dette.
Spesso quando la malattia arriva ci sono discorsi che diventano taboo.
- Si sconfessa la realtà che il malato cerca di affermare per arrivare ad accettarla,
oppure
- si evita in ogni modo qualsiasi argomento che riguardi la reale condizione del malato e le possibili conseguenze.
Questo modo di agire è legato a nostre paure che denotano la non accettazione della malattia. Le convinzioni limitanti lavorano moltissimo nel creare l’orizzonte entro il quale si manifesterà l’esperienza e avere analizzato e ripulito le proprie paure da al caregiver la possibilità di essere libero e di non agire partendo con una zavorra che freni e che condizioni il risultato.
Gli argomenti scomodi vanno tolti da dietro l’armadio perché, come sempre, i fatti, guardati in piena luce, cambiano aspetto.
Quali sono allora le domande a cui è utile che un caregiver sappia rispondere?
- So rispettare la sua volontà?
- So ascoltare discorsi su argomenti scomodi come il dolore, la morte e l’handicap?
- Riesco a individuare qual è lo scopo dell’esperienza per me?
- Cosa credo vero riguardo la salute, la malattia e la guarigione?
- Queste credenze sono utili o dannose?
- Sono capace di lasciare che lui o lei attraversi consapevolmente l’esperienza senza volermi sostituire?
Poi ci sono i caregivers “mancati” cioè coloro che non se la sentono e lasciano.
Queste persone sono solitamente esposte a critiche feroci, ma anche qui si parte da un presupposto che non considera il significato profondo e lo scopo dell’esperienza per tutti gli attori coinvolti.
Nel corso del mio ultimo viaggio nella malattia ho sperimentato due volte questa situazione, le persone se ne vanno, accade. Io posso dire che la sofferenza che ho provato è stata per la fine di quelle realzioni in quanto tali e non per il fatto che sia avvenuto durante la malattia.
Certo, per una donna essere, più o meno elegantemente, scaricata mentre la malattia e le cure la tengono “ai minimi del proprio fascino” non è una passeggiata anche perché, in quelle condizioni, è difficile immaginarsi guarite, di nuovo belle e desiderabili, ma al tempo stesso questa esperienza riporta il focus verso se stesse (questo vale comunque anche per un uomo che si trovi nella stessa situazione).
La malattia è qui per dirti che
- Tu ti devi occupare di te,
- Tu sei importante indipendentemente da quanto gli altri ti dimostrano,
- Tu devi essere importante per Te stessa,
- la Tua attenzione è la Tua cura,
- il Tuo amore deve essere tutto e solo per Te come non hai mai osato pensare e fare prima.
Inoltre bisogna ricordarsi sempre che ognuno fa quello che può con ciò che ha a disposizione.
Anche il “caregiver mancato”, che non ce l’ha fatta a rimanere nell’esperienza, non deve vedersi come un mostro (sperando che le modalità con cui ha “rifiutato l’incarico” non siano state assolutamente sleali).
La malattia a volte arriva proprio per chiudere ciò che le persone non sono state in grado di chiudere da sole e in questo senso lo scopo della malattia è la liberazione degli attori.
Chiedi aiuto e affianca il tuo caro al massimo del tuo potenziale
Tutte le esperienze che ho vissuto, nelle varie vesti di ammalata, di caregiver, di amica, mi hanno dato la possibilità di pensare un percorso speciale proprio per chi è chiamato a questo delicato e importantissimo compito e, con la forza del cuore, vuole stare vicino a chi deve intraprendere la via della cura e della guarigione. So molto bene che anche chi supporta ha bisogno di
- sostegno,
- comprensione,
- strumenti,
- un luogo in cui potersi esprimere liberamente e ricaricarsi
proprio perchè anche per te la vita è cambiata di colpo e il caregiver molto probabilmente non è il tuo mestiere abituale.
In questo percorso troverai ciò che ti serve e imparerai a contenere le paure dell’altro perché avrai elaborato le tue.
Aver eliminato le tue paure ti permetterà di mantenere il focus su tutta la vostra esistenza per TORNARE a VIVERE e NON solo SOPRAVVIVERE.
Se sei interessato a scoprire come posso aiutarti con il coaching integrato a:
- sbloccare le energie necessarie ad accompagnare in modo lucido, efficace ed efficiente chi ti è vicino e deve affrontare la malattia,
- concentrarvi sulla sua guarigione e sulla vostra vita fin da questo momento,
contattami, sarò felice di offrirti una sessione gratuita per rispondere a tutte le domande che vorrai pormi.
Qui invece puoi leggere cosa dice chi ha già scelto di lavorare con me per andare oltre la paura.
Insieme, la vita lo sai bene, ti viene come viene,
ma brucia nelle vene,
e viverla insieme
è un brivido e una cura,
serenità e paura,
coraggio ed avventura,
da vivere insieme.
Che sapore ha la felicità-Negrita