
Il senso di colpa è una delle principali cause di infelicità cronica, immotivata, di cui purtroppo quasi tutti soffriamo a un qualche livello proprio come si soffre di una malattia. Se ti chiedi in che senso sia causa di infelicità è presto detto: non ci permette di vivere serenamente e liberamente la nostra esistenza senza la sensazione costante di avere una zavorra al seguito, può bastare? Se questo ti è sufficiente per desiderare ardentemente di togliertelo di torno una volta per tutte e decidere di “guarire”, la prima cosa da fare è accertarti di sapere di preciso quali sono le sue caratteristiche, così da poter scegliere la miglior strategia per liberartene.
Quando si manifesta
Il senso di colpa si prova per uno sbaglio o una mancanza che crediamo di avere commesso, cioè riguarda le nostre azioni, il fare.
Attenzione a non confonderlo con la vergogna che invece è la sensazione che deriva dall’idea di essere sbagliati.
Poiché può capitarci di sbagliare (contravvenendo a una delle tante regole che fanno parte della nostra vita) a volte il senso di colpa si presenta legittimamente alla nostra porta proprio con l’intento di segnalarci i nostri errori e così facendo ci aiuta a rispettare le regole e a non danneggiare gli altri, ci punisce facendoci soffrire per il male che procuriamo agli altri e fin qui, tutto ok.
Il guaio è che si presenta spesso e volentieri anche quando non esiste alcun errore oggettivo, nessun torto reale che si possa imputare al nostro operato, eppure lui c’è, bello grosso, e non ci abbandona in nessun modo.
Quali regole avremmo dunque violato in questo caso? Si tratta di regole personali, la cui mancata osservazione non comporta una colpa oggettiva, ma che noi ci sforziamo strenuamente di seguire così da pagarne il caro prezzo quando non lo facciamo e sarà questo il posto in cui guardare per conquistare l’agognata libertà.
L’uomo veramente libero è colui che rifiuta un invito a pranzo senza sentire il bisogno di inventare una scusa.
Jules Renard
Come funziona
Cosa scatena il meccanismo diabolico che ci ammorba così pesantemente?
Il pensiero scatenante è quello di poter rendere infelici gli altri facendo o non facendo qualcosa.
Da lì in poi è un tutt’uno di sensazioni sgradevoli che non ci abbandonano più.
Il segreto è nella parola “potere” e nel fatto che noi crediamo veramente di avere il potere di influenzare gli stati d’animo degli altri!
Finché crediamo in questo nostro “strapotere” non c’è verso di affrancarci dal senso di colpa, infatti si sa che il potere determina delle responsabilità …
L’unica cosa da fare a questo punto è verificare scrupolosamente se questo fantomatico potere ce l’abbiamo davvero.
A uno sguardo superficiale verrebbe tranquillamente da dire di sì, certo che abbiamo la possibilità di influenzare lo stato d’animo altrui!
Ma ad un esame più attento, potremmo scoprire qualcosa di diverso, una vera e propria dinamica in cui siamo coinvolti senza nemmeno rendercene conto:
pensare di avere il potere di determinare la felicità o l’infelicità di qualcuno implica accettare che costui ci attribuisca tutta la responsabilità delle sue azioni (essere felice/infelice) e ciò significa accettare il ruolo di carnefice, ruolo che si accompagna indissolubilmente con il senso di colpa.
Colui il quale ci consegna questo potere (il colpevolizzatore) a sua volta sceglie di interpretare il ruolo della vittima che proprio perché è tale, non ha alcun potere.
Il torturato tortura i sogni del suo carnefice.
Eduardo Galeano
Come dicevamo prima, non è nemmeno necessario che sia l’altro ad attribuirci il potere, siamo così convinti di possederlo da ficcarci da soli nella “tela del ragno”.
Val quindi la pena di tornare sulla storia di questo potere che noi avremmo di controllare il corso degli eventi e di rendere così felici o infelici le persone.
Certo che la sensazione di essere noi l’ago della bilancia ha un fascino irresistibile, una nostra parola e le sorti del mondo saranno decise … se non che, guardato da vicino, tutto ciò assomiglia un po’ troppo a un delirio di onnipotenza, verrebbe quasi da dire che ci piace davvero.
Facciamo un esempio così da sgombrare definitivamente il campo da ogni dubbio che si tratti di qualcosa che appartiene al nostro quotidiano:
Tu e tua madre.
Come ogni domenica si pone la scelta se andare o non andare a trovarla. E come sempre, sul piatto c’è che se ci vai, la farai contenta, ma dovrai rinunciare al tuo unico pomeriggio di vera libertà in una settimana di impegni e lavoro e che se non ci vai, ti sentirai in colpa perché lei sarà triste e tu di conseguenza ti godrai poco il tuo pomeriggio di libertà.
Una verità inconfutabile e un bel vicolo cieco!
Sei sicuro/a che nel fare questa previsione tu non abbia tralasciato nulla?
“Cosa”??? Mi chiedi.
Ad esempio, che tua madre potrebbe essere triste anche in tua compagnia.
Ta Ta Ta Taaaa!
Questo cambia tutto, ora non puoi più sostenere che dipende da te il modo in cui lei si sente e ciò ti costringe a rivedere la tua idea di essere in grado di controllare gli eventi e di conseguenza gli stati d’animo delle persone.
Guardiamo meglio cosa accade se tua madre si sente triste in tua compagnia, dopo che tu le hai sacrificato il tuo solo pomeriggio libero.
Tua madre ha ritirato il potere che ti aveva accordato ed esercita il diritto di sentirsi come le pare nonostante la tua presenza.
La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui.
Jean-Jacques Rousseau
Questo interrompe bruscamente i tuoi sogni di onnipotenza, ti tocca ammettere che il suo umore non dipende da te, ma da ciò che lei sceglie e che se sceglie di farlo dipendere da te, è una Sua scelta e non un tuo smisurato potere.
Privato/a così del tuo potere puoi notare che viene meno anche la zavorra del senso di colpa, e ora puoi coglierne il tuo guadagno.
Le obiezioni
Ora tu mi potresti dire che non conta, tu ti sentiresti in colpa ugualmente se scegliessi di non andare e io ti rispondo che ora, però, è una Tua scelta e non più un vicolo cieco e che evidentemente il desiderio di controllo e onnipotenza proprio non vuoi mollarlo.
L’importante è che tu sia consapevole che questo impedisce agli altri di essere responsabili delle proprie azioni cioè colpevolizzarsi rende gli altri privi di libero arbitrio. Insomma, di nuovo tutti in galera …
Ma no, dai! Di nuovo?!
Oppure mi potresti dire che è lei che te lo fa pesare comunque. Anche qui io non ci casco, ti farei notare che il rimpallo delle responsabilità non cambia la questione e che è una Tua scelta se farti mettere nel ruolo di carnefice o meno così come resta una Sua scelta rinunciare alla propria libertà di sentirsi bene indipendentemente da quello che fai tu.
Molti si lasciano compatire atteggiandosi spesso a vittime per essere con più buona coscienza carnefici.
Emilio Rega
Chi accetta la parte, si accolli le conseguenze.
Ps: ovviamente questo vale anche per le situazioni in cui sei tu che scegli di “fare la vittima”.
3 errori da evitare
Facciamo così, ti lascio la lista degli errori più comuni in cui puoi incappare per essere certo/a di non ricascarci:
- pensare che tutto sia sotto il nostro controllo cioè che siamo onnipotenti, i protagonisti indiscussi di ogni situazione,
- essere convinti di poter determinare la felicità degli altri,
- guardare solo “la colpa” degli altri.
Tenendo presente questi 3 punti viene meno il fatto di sentirsi perennemente degli egoisti e quindi in colpa.
Si assume uno sguardo obiettivo e realista sulla realtà in cui abbandoniamo le convinzioni di essere in grado di rendere infelici gli altri e che gli altri sono davvero in grado di rendere infelici noi.
La verità emerge completa e ci dice che sei tu con ciò che pensi di quello che fanno gli altri a renderti infelice e così vale per loro.
Insomma, ognuno di noi può decidere se essere felice o infelice perché siamo esseri liberi che possono scegliere, e scegliendo siamo responsabili delle nostre decisioni.
Ancora una volta sono rimasto vittima di me stesso: non importa! Verrà il giorno in cui i ruoli si ribalteranno…
Amedeo Ansaldi
Dalle parole ai fatti
Certo, lo so, sulla carta tutto fila, ma poi nella pratica che fatica!
Un motivo per tutta questa fatica c’è ed è che cullandoci nella convinzione di poter controllare gli eventi ci sentiamo rassicurati e quindi ci risulta molto difficile abbandonare questa idea.
E poi la nostra sensazione è proprio che siano gli altri a tenerci in pugno, mai avremmo pensato di procurarci da soli la maggior parte del disagio e anche questa è una faccenda alla quale bisogna abituarsi.
Se ci focalizziamo su quel che possiamo guadagnare, però diventa tutto più semplice, più logico e più fattibile.
La conquista arriva proprio quando accetti di non essere onnipotente e per questo motivo di non poter determinare la felicità degli altri, quando accetti che gli eventi si svolgono indipendentemente dalla tua volontà e dai tuoi sforzi, quando ti risulta naturale lasciare agli altri la libertà di sentirsi come vogliono, allora sei fuori, ce l’hai fatta, sei guarito/a.
Un po’ di pratica
Che ne dici di esercitarti applicando tutta la sequenza di ragionamento a una tua situazione tipica per la quale ti senti regolarmente in colpa?
- Esamina ciò che avresti dovuto fare e perché avresti dovuto farlo.
- Chiediti se l’obiettivo che ti prefiggi dipende interamente da te, insomma se in definitiva sei davvero responsabile o per lo meno se sei solamente tu ad esserlo.
- Fatto questo esame, individua una diversa azione che non sia la solita che metti in atto per non sentire il tuo senso di colpa.
Se vuoi parlarne con me, per capire come potrei aiutarti a uscire dalla gabbia del senso di colpa attraverso un lavoro dedicato al tuo mondo emotivo e al ruolo che hanno le tue emozioni nella acquisizione di consapevolezza di te stesso/a e della tua situazione di benessere o malessere, puoi contattarmi cliccando qui.
Leggi cosa dice chi ha scelto di lavorare con me anche su questo tema.
Se vuoi scoprire tutti i risvolti della dinamica vittima-carnefice e quale sia la tua consapevolezza di come agisce nella tua vita, rispondi alle domande del TEST PER LIBERARTI DAL SENSO DI COLPA che puoi scaricare subito, gratuitamente, qui.
Nessuno può farti sentire infelice se tu non glielo consenti.
Franklin Delano Roosevelt