
Le tante esperienze fatte da me e dalle persone a me vicine nell’arco del tempo testimoniano la necessità di scrivere in merito a questo delicato e importantissimo tema. Comunicare è un’abilità e non credo ci siano dubbi sul fatto che diagnosi e prognosi siano senz’altro argomenti che necessitano di particolari accorgimenti per essere comunicate in modo non traumatico. La paura derivante da una comunicazione “maldestra” infatti può a sua volta causare l’incapacità della persona di credere nella propria possibilità di guarigione rendendo tutto il processo più lento e difficile, se non a volte impossibile.
Credo che un “programma” di allenamento e di difesa sia ciò che manca e penso che al pari del “Libro dei diritti del malato di cancro”, in cui sono spiegate tutte le tutele dal punto di vista lavorativo, anche una Istruzione Operativa sulle tutele psicologiche da mettere in atto sia altrettanto fondamentale, per evitare di uscire ulteriormente destabilizzati da sfortunati colloqui relativi al nostro stato di salute.
Il potere delle parole
Ci sono frasi che quando vengono pronunciate e indirizzate alla persona che si trova in un particolare stato emotivo di paura e incertezza riguardo la propria salute, risultano come un marchio a fuoco sulla pelle e sull’anima.
Ti entrano dentro e non riesci più a liberartene, ci credi talmente tanto che operi come se ciò che ti viene detto fosse una assoluta verità inconfutabile.
Per capirci è lo stesso principio su cui si basa l’efficacia della“ fattura” o del rito woodoo e cioè funziona a patto che il destinatario ci creda, non tanto a livello razionale, ma a livello profondo e talvolta del tutto inconsapevole.
Va quindi da sé che se lo scopo è uscire da una condizione di malattia e non soccombere alla stessa, è fondamentale essere equipaggiati soprattutto in caso il nostro sistema emotivo e psichico, già fortemente provato dalla situazione, venga “compromesso” attraverso l’uso di parole inadatte a favorire una reazione positiva e producente per il ripristino della nostra salute.
Perché è necessario prepararsi?
- Perchè l’esito della comunicazione dipende sia da chi da le informazioni, ma anche da chi le riceve, quindi anche il ricevente deve possedere delle abilità.
- Perché purtroppo non è detto che tutti i medici con i quali ti può capitare di confrontarti abbiano sviluppato le competenze e l’empatia necessarie a comunicare con i propri pazienti in modo costruttivo.
Direttamente dall’esperienza
Proprio a partire dalla mie svariate esperienze e da quelle di persone a me molto vicine, ho pensato di condividere alcune indicazioni.
Come viene comunicata la diagnosi e soprattutto la prognosi o qualsiasi altra notizia relativa allo stato di salute di un individuo è di assoluta importanza per rendere il diretto interessato non solo soggetto cosciente dello stato dei fatti, ma parte attiva del processo di ripristino della propria salute.
Non c’è intento polemico, ma piuttosto la mera constatazione di un dato di fatto e cioè che come in qualsiasi altro mestiere, anche tra coloro i quali ti troverai davanti per informarti di un esito, ci saranno dei capaci comunicatori e altri molto meno, senza togliere niente alla loro capacità professionale specifica.
L’intento qui è piuttosto di mettere chi viene chiamato a dover affrontare un percorso già di per sé tanto doloroso e spaventoso, nelle condizioni di non dover subire “ulteriori danni non necessari”.
La mia prima esperienza è stata da manuale:
poco più che ventenne sono rimasta coinvolta in un incidente stradale a seguito del quale ho riportato lesioni piuttosto serie alla parte destra del volto oltre alla pedita di buona parte dei denti dell’arcata superiore destra.
Dopo circa una settimana di ricovero in ospedale il medico che mi aveva ricucita la notte dell’incidente, passando in visita mi ha chiesto senza preamboli: “ti sei già vista allo specchio?” Alla mia risposta negativa mi ha allungato un specchio dicendomi un laconico: “è ora.”
Io, preso lo specchio, mi sono guardata. La mia fortuna credo sia stata che io sono sempre stata molto brava a “non vedere ciò che non volevo vedere”, ma definire “una capra” quel medico sarebbe senz’altro un’offesa per il variegato mondo delle capre.
Ero sola, non c’era nessuno dei miei, avevo i capelli incrostati di sangue da una settimana, avevo il volto completamente tumefatto e gonfio, un occhio chiuso con un taglio che lo percorreva per traverso lungo tutta la palpebra (tipo capitan Harlock), una ferita passante alla guancia, ricucita dall’orecchio al labbro e una infinita serie di taglie e segni dovuti alle scheggie di vetro, molte delle quali ancora presenti sotto pelle. La bocca sgangherata con tracce di quelli che erano stati i miei denti.
Nessuna preparazione, nessuna frase tipo ” guarda che ora sei gonfissima, ma questo poi passa, non impressionarti, quel che conta è che i nervi non sono lesionati, i denti si rimediano …” e tutto quello che potrebbe venire in mente a chiunque.
Alla mia domanda “cosa devo aspettarmi che rimanga di tutto questo?” la risposta altrettanto laconica è stata ” in questo tipo di ferite la parte sopra tende sempre a ricadere sulla parte di sotto”. STOP
Nessun riferimento a possibili trattamenti, interventi di qualsiasi genere per minimizzare il danno o altro. Solo questo.
Dicono che quel che non ammazza ingrassa…io non sono nè morta, nè ingrssata, ma senz’altro non sono stata supportata. Mi sono sempre chiesta cosa sarebbe successo se invece di una come me -una “gagliarda”- quel medico si fosse trovato davanti una persona “vagamente” fragile. Questo è l’esempio di una persona tecnicamente capace, ma assolutamente incompetente emotivamente.
Dopo una bella convalescenza e diverse peregrinazioni da altri medici del tutto insoddisfacenti sono finalmente approdata da una dottoressa di tutt’altra levatura sia professionale che umana, che ancora nel corridoio del suo studio, rivolgendomi la parola per la prima volta, mi ha detto ” cara non ti preoccupare che sistemiamo tutto”.
E’ inutile dire che sono ancora sua soddisfatta paziente nonchè amica e che mai per un attimo ho dubitato delle sue parole, non perchè mi aspettassi che “cancellasse tutto”, ma perchè mi aveva accolta e rassicurata e questo, in certi momenti, vale ben più di un qualsiasi potentissimo farmaco o di un incredibile intervento chirurgico.
Detto in parole povere, tutti noi sappiamo benissimo che c’è modo e modo di dire le cose e che se ci teniamo ad ottenere un determinato risultato, con una nostra domanda o con una nostra affermazione, dobbiamo stare ben attenti al modo in cui le formuliamo. Quindi nessuna meraviglia se si sottolinea che anche la comunicazione di una diagnosi e di una prognosi, per sortire l’effetto desiderato, cioè informare senza affossare, debba stimolare il diretto interessato a mettere in campo tutto ciò di cui dispone per collaborare attivamente alla propria guarigione e per questo debba sottostare a determinate “regole”.
Poiché invece nella realtà non sempre questo “processo” si verifica nel modo più auspicabile per il benessere psico-fisico della persona, ecco come ci si può preparare per diventare pressoché impermeabili a diagnosi e prognosi non sempre date in maniera ottimale.
Nessuno può farti provare un’emozione che non vuoi provare.
Perché è necessario prepararsi PRIMA?
- Perché in un certo stato emotivo si è vulnerabili. Del resto chi non lo sarebbe fuori da una porta di un ambulatorio di un centro oncologico o simili, mentre attende di sapere se gli esami a cui si è sottoposto sono positivi o negativi e se questo comporterà un brusco o magari definitivo cambio del suo orizzonte temporale oltre che delle sue abitudini?
- Perche non sai chi sarà il “messaggero” e quali saranno le sue capacità comunicative.
In cosa consiste questo “allenamento”?
L’allenamento è di natura mentale e di conseguenza emotivo.
Ci sono considerazioni che è bene avere già assimilato in modo che emergano spontaneamente di fronte a certi discorsi e non ci trovino “sguarniti e offendibili” come invece troppo spesso accade:
- La diagnosi descrive solo lo stato del tuo corpo in questo momento.
- La prognosi (il tempo stimato di sopravvivenza e il decorso della malattia) si basa sulle statistiche cioè su delle probabilità che si verfifichi un detrminato risultato, non descrive la tua realtà, ma la interpreta in base a esperienze di altri.
La statistica e la prognosi ti dicono che cosa potrebbe succedere a quella persona se verranno applicate le cure che vengono applicate alla maggior parte dei casi simili, ma non ti dice che cosa succederà se tu farai anche solo una cosa differente.
Dott.sa Erica Francesca Poli
E proprio perché si parla di PROBABILITA’ NON PREVEDE di essere accompagnata da parole come: sicuramente, certamente, senza dubbio, assolutamente, inevitabilmente, sempre, mai.
Se nella comunicazione della diagnosi o della prognosi vengono utilizzate queste parole o altre a esse molto simili per significato, bisogna reagire come si reagirebbe di fronte a qualcuno che ci voglia apertamente derubare o ingannare.
Perché sbaglio o a nessuno piace farsi fregare?!
Ecco, allora questo è il momento di sventare il maldestro tentativo con una semplice frase:
Le probabilità sono una cosa, ciò che accadrà nella realtà un’altra.
Oppure a piacimento alcune delle seguenti:
- Nessuno ha la verità in tasca.
- Solo dio sa come andranno le cose.
- Nessuno possiede la sfera di cristallo per predire il futuro.
- La certezza non è di questa terra.
- Io non sono una probabilità, ma una persona vera, unica e irripetibile.
- Si può vincere contro ogni probabilità.
- C’è gente che era stata giudicata terminale ed è guarita per cui non c’è nulla di scontato.
Se non puoi volare allora corri, se non puoi correre allora cammina, se non puoi camminare allora striscia, ma qualunque cosa tu faccia tu devi continuare ad andare avanti.
Martin Luter King jr.
Sappiamo che la medicina ufficiale considera il cancro una malattia da cui potenzialmente non si guarisce mai, quindi ti dirà che il suo intento è di cronicizzare la malattia, questo ha un duplice scopo:
- non creare false speranze nel ricevente,
- non esporre il “messaggero” a dei guai in caso l’epilogo sia nefasto diversamente da quanto invece comunicato.
Sia ben chiaro che nessuno pretende di essere “nutrito” con false speranze, ma semplicemente che gli vengano almeno lasciate intatte tutte quelle disponibili ad aiutarlo nel percorso di cura e guarigione.
Saremo poi noi in piena libertà, a scegliere il nostro personale cammino e magari decideremo, in barba a qualsiasi statistica, di leggere “Guarisci l’impossibile” di Caroline Myss e di andare con lei Oltre la Forza di Gravità!
La scelta della linea “di basso profilo” della cronicizzazione come massimo obiettivo, invece fa sì che della statistica si guardi sempre solo la parte svantaggiosa e non si dia vero peso alla parte che depone a nostro favore, mentre -sia ben chiaro- che entrambe le facce della statistica hanno pari dignità.
Tutto ciò che ci viene comunicato è “statisticamente probabile” e non assolutamente certo.
Tra questi due estremi della statistica ci siamo noi, unici e irripetibili con tutta la nostra capacità di andare nella direzione che scegliamo e non in quella che qualcuno definisce erroneamente l’unica possibile.
E noi siamo DETERMINANTI! Quindi comunque siano andate le cose in quel maledetto colloquio, abbiamo il potere di cambiare il nostro modo di reagire, anche in un secondo tempo. Possiamo farlo analizzando a fondo le nostre credenze sulla salute e sulla malattia e lavorando per ripulirle se ci accorgiamo che sono limitanti per la nostra guarigione.
Ho assistito anche a colloqui in cui il medico aveva lanciato l’assist perfetto per invertire il processo, ma si è trovato davanti persone PROGRAMMATE in modo definitivo che non solo non hanno riconosciuto l’assist, ma lo hanno addirittura rifiutato.
Da qui l’importanza di sottolineare sia la necessità di una comunicazione corretta, ma non depotenziante e l’altrettanto necessaria pulizia da convinzioni limitanti di chi ascota.
La comunicazione della diagnosi e della prognosi non sono la fine assoluta della strada, ma una curva inaspettata dietro la quale attualmente non siamo ancora in grado di vedere la strada.
Solo perché in questo istante non vediamo la strada non vuole affatto dire che la strada non ci sia e che non sia percorribile.
L’allenamento consiste nella capacità di respingere certi colpi come lo si farebbe in una partita di tennis, botta e risposta, non tanto con risposte ad alta voce (anche se a volte sarebbe a dir poco doveroso), ma quanto piuttosto con risposte interne, con ciò su cui si è già riflettuto.
Essere in grado di riconoscere lo stile con cui si parla del nostro destino e avere la libertà di decidere consapevolmente se accettare o no le parole che ci vengono rivolte
è una grande arma per non trovarci ancora più in difficoltà di quanto non sia strettamente necessario, dovendo affrontare una situazione già di per sé difficile.
È molto importante avere “la freddezza” per osservare la conversazione “dall’esterno” e per aiutarci possiamo avere delle domande pronte da porci per esaminare la scena che ci vede protagonisti:
- Dove viene posto l’accento?
- Sulla malattia/condizione o sulle mie risorse?
- Qual è il modo verbale scelto dal messaggero?
- imperativo
- indicativo
- condizionale
perché fa una bella differenza se una cosa viene comunicata come un ordine indiscutibile, un dogma incontestabile oppure come una possibilità.
- Vengo già considerato un numero dentro l’ingranaggio e sono spersonalizzato come “il paziente x” che farà quella fine e andrà ad ingrossare le percentuali della statistica o continuo ad essere visto come il sig./sig.ra tal dei tali?
- Ho la sensazione di essere pienamente coinvolto ed informato?
- Viene presa in considerazione la mia partecipazione attiva nel percorso che mi viene prospettato oppure mi viene detto di “lasciar fare” che penseranno a tutto loro?
- Mi viene comunque indicata la possibilità di ascoltare un secondo parere, anche se il trattamento che mi viene proposto è standardizzato?
- Ho la possibilità di fare domande?
Hai sempre il diritto di fare domande.
Non farti manipolare. Non sentirti in colpa.
- La mia eventuale richiesta di avere tempo per decidere o semplicemente per “entrare nell’idea” come viene accolta?
Ricorda sempre che tu sei libero di scegliere.
Hai la libertà di cambiare idea e puoi sempre decidere di tornare sui tuoi passi.
Spesso quello di cui abbiamo paura è ciò che si realizza.
L’effetto della comunicazione di diagnosi e prognosi su di noi, come dicevo, dipende anche dal nostro “equipaggiamento” e non solo dal modo in cui queste ci vengono comunicate.
L’ideale sarebbe avere sì, un messaggero empatico e supportivo, ma anche un ricevitore consapevole dei propri mezzi e della realtà.
Il maestro Zen Thich Nhat Hanh, a cui si ispira la Mindfulness, ci aiuta a prendere consapevolezza della realtà attraverso “Le 5 rimenbranze”, così da non esserne preda, quando diventi necessario confrontarci con essa.
Si tratta di 5 pensieri che riguardano la nostra condizione umana e il fatto che abitiamo un corpo fisico. Questi pensieri, se non affrontati, ci costringono a vivere perennemente nella paura del futuro.
Essi sono:
- È nella mia natura invecchiare, non c’è modo di sfuggire alla vecchiaia.
- È nella mia natura ammalarmi, non c’è modo di sfuggire alla malattia.
- È nella mia natura morire, non c’è modo di sfuggire alla morte.
- Tutto ciò che mi è caro e tutte le persone che amo sono soggetti per natura al cambiamento. Non c’è modo di non essere separato da loro.
- Io eredito i risultati degli atti che compio con il corpo, la parola e la mente. Le mie azioni sono la mia continuazione.
Queste sono verità universali che però noi ci rifiutiamo di accettare vivendo in costante negazione di esse.
Sembra facile a dirsi e anche logico, ma tutt’altro che facile a farsi, non è vero?
Eh, beh … sì, nessuno dice che sia facile. Certo è che se familiarizziamo con certi concetti poi risulta più agevole il confronto vero e proprio con essi, quando questo ci capita.
Thich Nhat Hanh spiega anche che rimanere nella negazione del concetto intellettuale non sortisce alcun effetto, ma portando questi concetti alla nostra attenzione e sperimentandoli come verità universali cioè verbalizzandoli, questi non scateneranno più le nostre paure inconsce e cesseremo ciò che facciamo per non avvertirle.
Quando sopprimiamo i nostri pensieri pieni di paura essi continuano a macerare nel buio.
Thich Nhat Hanh
Se proprio affidarci alla saggezza di un maestro zen ci sembra troppo fuori dalla nostra visione del mondo possiamo sempre affidarci a una canzone e a questo scopo “La vita è un gioco” dei Negrita può suggerirci anche quello che non ci dice espressamente.
Le argomentazioni fin qui riportate potrebbero sembrare in contraddizione perché da un lato si suggerisce di contrapporre a una notizia di malattia il concetto della speranza e dall’altro si chiede di prendere atto della caducità dell’essere umano come una verità ineluttabile.
Qual è allora il punto di contatto o se preferiamo la logica che unifica queste due visioni?
È il superamento della paura.
Se non si va oltre la paura, essa da un lato ci fa soccombere di fronte alla diagnosi magari “mal data” e dall’altro ci mantiene soggiogati nella non accettazione della nostra realtà di uomini in carne ed ossa e per ciò destinati ad avere un limite temporale di permanenza in vita.
Essere, come già spiego approfonditamente in questo articolo sulla respons-abilità, “the man in charge” cioè l’incaricato a gestire la propria situazione, colui che prende le decisioni, colui da cui dipende la riuscita dell’impresa significa:
- essere consapevoli dei propri limiti e quindi anche del fatto che la propria vita avrà un termine ( come quella di tutti gli altri del resto),
- non permettere a nessuno di decretare anzitempo quando sarà quella fine e come.
È molto facile che un articolo come questo lo leggano persone che una diagnosi e una prognosi “bene o mal date” le abbiano già ricevute, ma anche in questo caso non è troppo tardi.
Allenarsi a costruire la propria consapevolezza e riprendere il comando della propria esistenza è un diritto sacrosanto e un’impresa fattibile anche in piena tempesta, anzi a volte quello è proprio il momento più fecondo per farlo!
Se siamo davvero presenti e sappiamo come occuparci al meglio del qui e ora, stiamo già facendo il massimo per il nostro futuro.
Thich Nhat Hanh
Se vuoi trovare un luogo in cui poterti allenare a restare al comando della tua esistenza qualunque sia la tempesta che tu sia chiamato/a ad attraversare puoi iscriverti al mio gruppo fb: “Cambia Animo sa Mente: C.A.M. Change! Act! Move!”.
Rispondendo a 3 semplici domande avrai immediato accesso a tutto il materiale già pubblicato e a tutto ciò che metto a disposizione ogni giorno.
Se sei interessato a scoprire come io posso aiutarti a superare la paura con il coaching integrato o vuoi pormi delle domande contattami, sarò lietissima di offrirti una sessione gratuita per risponderti.