
Di fronte a una diagnosi è inevitabile che inizi a porti “La Domanda” perché la necessità che sempre abbiamo di fronte agli eventi della vita, è quella di darle un senso e così anche la malattia deve rispondere agli stessi requisiti di realtà, ai nostri occhi deve avere senso e questo ci da l’idea che la guarigione sia più a portata di mano.
Data la criticità dell’evento è molto utile individuare tra le tante domande che sorgono spontanee quali siano utili e quali invece non portino alcun vantaggio.
La madre di tutte le domande è: “perché?”.
- Perché mi sono ammalato?
- Perché proprio a me?
Mi permetto di dire che l’errore che spesso si fa a questo punto, è proprio quello di insistere nel volere capire le cause di un evento così potenzialmente devastante per le implicazioni che può avere sulla nostra esistenza.
Le domande successive da farsi, per capire se chiedersi il perché –causale- ti è capitato di ammalarti è la cosa più utile da fare, sono le seguenti:
“Se sapessi il perché cambierebbero le cose?”
E cioè:
- Se sapessi il perché sarebbe più facile guarire?
- Se sapessi il perché potresti evitare di confrontarti con questa esperienza?
- Se sapessi il perché potresti limitare l’impatto che avrà sulla tua vita?
No, no, no e no.
Questi quattro no mi fanno supporre con molta attendibilità che questa non sia la “domanda giusta” per il fine che hai in mente; perché il fine che hai in mente è la guarigione, vero?
Ecco, allora per questo fine “il perché” utile da porsi invece è un perché “finale” e non “causale”. A questo proposito ti propongo di ascoltare uno spezzone di una conferenza di Igor Sibaldi dove la questione delle “domande giuste” viene affrontata molto chiaramente sia per chi è sano, (ricordandoci appunto che non è necessario ammalarsi per decidere di cambiare qualcosa) che per chi è ammalato.
Ma allora qual’è la domanda corretta?
Prova così: “A che scopo mi sta accadendo tutto ciò?”.
Questa domanda è utile per due motivi:
- perché può avere una risposta,
- perché la risposta non rimane fine a se stessa, ma ti può aprire la mente verso una nuova visione delle tua realtà.
Se ci pensi bene già questo è “uno scopo” della malattia, ti costringe a guardare le cose da un altro punto di vista.
Non guardi più le cose dalla carrozza di un treno ad alta velocità lanciato sui binari senza la possibilità di fare fermate intermedie, con la certezza della destinazione scritta sul biglietto che hai in tasca.
Ora -di colpo- sei costretto a guardare le cose da una panchina in una stazione di campagna dove i treni ad alta velocità non passano neppure e dove, per poter vedere un treno passare, a volte devi aspettare per ore e non sei mai nemmeno sicuro che quel treno arrivi all’orario prestabilito.
La differenza tra questi due punti di osservazione della realtà è più che evidente, non trovi?
Come evidente è la differenza tra gli stati d’animo e le aspettative del Te sul treno ad alta velocità e il Te sulla panchina della stazioncina di campagna.
Mentre sei sul treno ad alta velocità tutto fila secondo i piani, la giornata è programmata e la vita pure, sai ciò che devi fare, lo stai facendo, hai il pieno controllo di tutto. Tiri dritto e ascolti la tua musica con le cuffiette ben ben isolato da tutto il resto. Speri solo che niente intervenga a disturbare i tuoi programmi perché non hai né tempo, né voglia di rivedere neanche una virgola della tua giornata più che collaudata e che sai che funziona.
Sulla panchina, vicino ai binari solitari, in mezzo alla campagna, sei sbalordito e sempre più irritato, non ci puoi credere di essere lì, incastrato, con tutto quello che hai da fare, con tutti quelli che contano su dite! E ti sale la rabbia per quella situazione assurda, ti sembra di essere piombato nel film di Troisi e Benigni “Non ci resta che piangere”, catapultato in un’altra storia, che non è la tua, che non ti interessa, che non vuoi, non vuoi, non vuoi.
Ma torniamo alla domanda “a che scopo” e per avere la riprova che sia la miglior domanda da farsi data la situazione, prova a chiederti:
“Se sapessi a che scopo ti sei ammalato cambierebbero le cose?”
E cioè:
- Cosa è venuta a dirti sulla tua vita questa malattia?
- Cosa puoi fare o pensare o considerare, ora che sei in questa situazione, che prima non potevi fare o pensare o considerare ?
O viceversa:
- Cosa non sei costretto a fare o pensare o considerare, ora che sei in questa situazione, che prima dovevi per forza fare o pensare o considerare ?
Le risposte a queste importantissime domande, ovviamente sono strettamente personali e sono proprio quelle, che da questa panchina della piccola stazione ferroviaria di campagna, ti fanno alzare la testa e ti permettono di accorgerti che è una giornata di sole, che c’è profumo di erba appena tagliata nell’aria, che si sente il ronzio degli insetti e in lontananza un cane che abbaia e molti altri particolari di questa giornata che dalla carrozza del treno ad alta velocità non avresti potuto assolutamente cogliere. Eppure questa è una tua giornata, della tua vita, ma tu non avresti mai saputo del profumo che c’è nell’aria, né del cane che abbaia, né di tutte le altre cose che stai iniziando a notare stando seduto su questa panchina.
Tu potresti dire: “sì, ma io avrei notato altre cose sul treno ad alta velocità, il colore della maglia del mio vicino, la marca di smartphone della donna seduta di fronte, il colore di capelli del controllore e il segnale debole del mio cellulare che non mi permetteva di seguire gli aggiornamenti di Fb”.
Certo, avresti notato più o meno sempre le stesse cose di uno dei tuoi tipici viaggi in quel tipo di carrozza e in quel tipo di treno e di per sé non c’è assolutamente niente di male in questo.
Ma obiettivamente qualcosa di importante è accaduto che ti ha distolto da questo tuo “viaggio tipo” e dalle sue consuete modalità e poiché, come dicevamo, lo scopo delle domande che ti fai a seguito di questo evento, rimane sempre e solo come uscirne e come uscirne al meglio, allora è inutile fissarsi sul viaggio che sta facendo qualcun altro su un qualche treno ad alta velocità, perché tu ora sei su questa panchina, in una giornata di sole, ad annusare il profumo dell’erba tagliata e probabilmente tra un po’ ti verrà fame e dovrai metterti a cercare una trattoria, di quelle che si trovano solo in campagna, dove soddisfare il tuo appetito con un bel piatto tipico locale e un bicchiere di buon vino.
E lì saranno nuovi profumi e nuovi sapori.
La malattia, che entra nella tua realtà, rompe qualcosa e ti trasforma in qualcosa di diverso, se capisci questo, se te ne rendi conto, se lasci che accada, lei ha sortito il suo effetto.
Erica Francesca Poli
Accettare la domanda e cercare la risposta
In questa nuova ottica il tuo corpo, con quello che ti sta dicendo, è il tuo più grande alleato ed è proprio quello che può aiutarti a rispondere alla tua domanda “di senso” nel modo più utile per il tuo benessere. Sii solo certo che la paura non ti renda impossibile ascoltarlo.
Io, per prima, ho sperimentato come, sia di fronte alla malattia che ad altri eventi traumatici, la domanda giusta faccia la differenza tra restare vittima dell’evento o usarlo a proprio beneficio, ma come la paura ti tenga bloccato senza darti modo di vedere.
Superata la paura e capito il senso è molto più facile lasciare che la trasformazione abbia inizio, non la vedi più
- come una perdita,
- come un danno,
- come un fallimento,
- come un pericolo,
invece inizi a vederli
- come una salvezza,
- come un traguardo,
- come una vera e propria opportunità.
Ti porto la mia testimonianza proprio perché so, che prima che tu superi la paura e colga questo significato dell’evento o della malattia con cui ti stai misurando, questi discorsi sembrano molto lontani, improbabili, anzi assurdi e la cosa che ti viene più spontanea è essere “contro”, in lotta, arrabbiato, disperato e soprattutto spaventato.
Io, come molti altri, invece posso dirti che non è necessario. Tutta quella energia che usi per andare contro puoi usarla molto più proficuamente per accogliere il messaggero e decodificare il messaggio e un po’ come in una caccia al tesoro, prima trovi la soluzione, prima ti avvicini al nascondiglio in cui c’è veramente il Tuo Tesoro.
Quello che ho scoperto nella mia personale caccia al tesoro mi ha portata qui, oltre la paura, a condividere il grande tesoro che ho scoperto con chi affronta difficoltà simili a quelle che sono toccate a me, perché, come ho già detto in altri luoghi, ci sono tesori troppo preziosi per non condividerli.
Della domanda giusta da farsi, e di come ora lavoro per aiutare anche altri ad arrivarci puoi leggere qui, dove chi lo ha gia scelto ne parla.
Se sei interessato a
- dare risposta alle tue domande di senso,
- a lavorare per far fruttare le tue scoperte a tuo beneficio,
puoi guardare qui per scoprire come un percorso di coaching integrato personalizzato possa aiutarti a
- superare la paura
- andare dritto al tuo obiettivo
- senza perdere tempo
- senza rischiare di fare errori
in un momento cruciale della tua vita.
Tutto quello che vuoi è oltre la paura.
Jack Canfield